In questo blog vi avevo promesso di portarvi in un viaggio vissuto dalla fantasia di un bambino che ha goduto dei racconti del passato. I racconti sentiti si sono trasformati in una ricerca e una ricostruzione della storia di persone non conosciute personalmente ma che tramite i racconti si percepiscono. La mia memoria inizia nel lontano 1877 quando nasce il mio Bisnonno Giuseppe Lo Coco figlio di Salvatore Lo Coco e Maria Ilario. Giuseppe cresce con la famiglia tra la campagna e l’allevamento del bestiame. Ma Lui sapeva che la sua ambizione era inseguire un sogno, quel sogno che aveva sempre desiderato e ascoltato dai racconti del tempo…l’America.
Il 14 Giugno 1911 all’età di 34 anni si imbarca in cerca di fortuna alla volta dell’America, il luogo dell’abbondanza, il posto dove il cibo è buono ma soprattutto grande, gigantesco, come si vedeva dalle cartoline del tempo
Dopo un viaggio pesante e lungo arriva in America a New York e come tanti Immigrati viene registrato presso Ellis Island come Passeger ID 101146080205 Frame 453 Line Number 25.
Giuseppe in quel Nuovo Mondo guidato dalla sua ambizione e determinazione ben presto si è affermato e riuscì a lavorare presso le ferrovie a Chicago
La sua soddisfazione e desiderio di emergere nel lavoro furono interrotte dal richiamo dell’amore per una donna che non condivideva la sua ambizione. Si trovò costretto a ritornare in Italia a Monreale per Michela Marceca che sposò al suo rientro.
Dalla loro storia d’Amore nasce Maria, Paola detta Paolina, Castrenze detto Titì, Francesca detta Ciccia, Gina e Salvatore detto Totò.
Focalizzo l’attenzione su Titì (mio nonno) che per bisogno della famiglia inizia ben presto a lavorare e imparare “u Misteri” e come ogni necessità diventa la sua virtù “u Cartiddaru”. Questo lavoro era ben pagato perchè “a cartedda o u panaru” erano i contenitori del passato. I “carteddi” vengono menzionati nei racconti del bandito Giuliano che si nascose Lui e i suoi uomini all’interno “ri carteddi sfurnati uno rintra l’avitru” (i cesti privi di fondo impilati). I tanti racconti li ho ascoltati da piccolo con la gioia di portare la pasta a mio Nonno che lavorava “ni Don Giuvanni a Santu Vitu”. Lì mi sedevo no “vanchiteddu” e ascoltavo quei racconti, posso sentire ancora l’odore della sigaretta Nazionali senza filtro che accendeva “Don Giuvanni” prima di cominciare “u funnu”, la posava sul banchetto e riprendeva a fumare prima “ri cannari”. Sembrava un rito che proseguiva e nel frattempo condividevano racconti e chiacchere.
Un’altra persona che nella nostra famiglia faceva “U cartiddaru” era “u Zu Nittu”. Lo Zio Nitto (Benedetto Sereno) era il marito della sorella di mio Nonno (Paolina).
L’arte “ru cartiddaru” è stata ereditata da mio padre Lo Coco Giuseppe e anche da Me Lo Coco Castrenze che porto il nome di mio Nonno e con il quale ho condiviso tanto e che mi ha lasciato tanto.
La mia storia è quella di un lavoro ad oggi dimenticato ma che rivive in queste pagine. Vi chiedo se anche Voi avete una piccola eredità e la volete condividere inviatemi un’email a renzo.lococo@artantica.it con il materiale e sarò ben grato di realizzare gratuitamente la vostra pagina all’interno del blog come tassello di quell’ArtAntica chiusa nel cassetto della memoria.